La necessità di modificare i trattati europei ha imposto un rinvio (che ha tutto il sapore dell'accantonamento) alla proposta del governo tedesco di costituire un Fondo monetario europeo per la gestione delle crisi finanziarie degli stati membri. A questo argomento, infatti, si è appellato martedì il presidente della Commissione, Josè Barroso, davanti all'Europarlamento, non senza sottolineare le «posizioni diverse» anche all'interno dello stesso paese. Il riferimento era proprio alla Germania, dove il presidente della banca centrale ha bocciato nettamente la proposta sostenuta, invece, dal governo. Ma anche l'esecutivo di Berlino, con la cancelliera Angela Merkel, nel dare il «pieno appoggio» al Fme ha comunque ricordato l'ostacolo dei trattati.
Ma è davvero così? Se si guarda alla lettera del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, l'articolo 124 fissa la 'famosa' clausola del no bail out e non lascia dubbi sul divieto di «accesso privilegiato» degli stati dell'Unione «alle istituzioni finanziarie». In pratica, nessuno può accollarsi il debito di un altro stato membro. Insieme agli altri paletti sui bilanci pubblici (rapporto debito/Pil e rapporto deficit/pil) la clausola punta ad evitare che gli squilibri finanziari di uno paese della Ue si propaghino agli altri.
In realtà il trattato offre qualche via d'uscita. «Altre disposizioni possono essere utilizzate per aggirare la clausola - spiega una fonte comunitaria - a patto però che esista la volontà politica di creare uno strumento temporaneo per proteggere i conti degli stati dalla speculazione dei mercati finanziari». In sostanza, quindi, non una copertura del debito pubblico di quei paesi che non rispettano i patti, ma uno strumento di immissione di liquidità nel sistema che aiuti a ritrovare la stabilità. Liquidità che puo' essere ritirata una volta rientrate le turbolenze.
Altra possibilità può essere individuata nell'articolo 125 secondo il quale il Consiglio Ue può «precisare le definizioni per l'applicazione» della clausola di no bail out.
Le vie d'uscita per eurolandia
Il trattato offre qualche escamotage riservato ai soli paesi dell'eurozona. L'articolo 136, infatti, prevede la possibilità che il consiglio Ue, «per contribuire al buon funzionamento dell'unione economica e monetaria» adotti misure per gli stati la cui moneta è l'euro, «con l'obiettivo di rafforzare il coordinamento e la sorveglianza della disciplina di bilancio» ma anche «di elaborare... gli orientamenti di politica economica affinché siano compatibili con quelli adottati per l'isieme dell'Unione, e garantirne la sorveglianza». Proprio ciò di cui la zona euro avrebbe bisogno in questo momento storico. Su queste misure, prevede il trattato, votano solo i paesi della zona euro.
Il dibattito per la creazione di nuovi strumenti di intervento europei è appena avviato. Come ha scritto Il Sole 24 Ore è "un percorso lungo tra insidie e dubbi". In particolare pesano alcune posizioni tedesche, quelle espresse dal presidente della Bunsebank, Axel Weber, e dal consigliere del comitato esecutivo della Bce, Jurgen Stark. Posizioni intransigenti che ricordano la forte opposizione della banca centrale tedesca all'ingresso della lira nell'euro sin dall'avvio della moneta unica. E che come allora, però, potrebbero essere superate. A patto che emerga una forte volontà politica nelle capitali. Un peso importante l'avranno sicuramente le opinioni pubbliche dei paesi virtuosi. Per rassicurarle sarà fondamentale chiarire da subito su chi peseranno i costi futuri del Fondo monetario europeo.
L'Italia preferisce un progetto più ampio del Fme (di Isabella Bufacchi)
Per il progetto Fme un lungo percorso tra insidie e dubbi
Il Fme declassato a obiettivo di lungo termine anche dall'Ue
Che cosa si pensa in Europa del Fme
Come si finanziano Fmi, Banca mondiale, Bei e la Banca asiatica per lo sviluppo
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Clicca per Condividere